Esultanza a Gaza

I due Stati non sono la soluzione

L’esultanza della popolazione di Gaza per l’eccidio nella Sinagoga di Gerusalemme dimostra come gran parte delle convinzioni europee sul medio oriente siano sbagliate. Non sarà uno Stato palestinese ad arginare il conflitto arabo israeliano, se non in quanto lo Stato palestinese non assorbirà interamente quell’ebraico. Tanto vale proporre agli ebrei di trasferirsi in Madagascar o nelle foreste dell’Uganda. Che ragione avrebbe altrimenti la popolazione di Gaza ad esultare per l’uccisione di 4 rabbini insieme ai loro carnefici palestinesi? Anche il commissario dell’Unione europea Mogherini dovrebbe riuscire a capire come un episodio di questa efferatezza allontani il processo di pace. Il governo israeliano non ha ancora avuto una reazione, perché ha lo scrupolo di preparare un’azione mirata. Israele può commettere degli errori ma non spara nel mucchio, a contrario dei suoi vicini omicidi. In Europa nel 2001 c’era chi convinto che l’eccessivo sangue versato sui due fronti avversi, fosse stato tale da obbligare entrambe le parti ad un compromesso di pace. Questo in effetti era valso per Arafat, pronto a firmare un trattato a Camp David dopo 50 anni di sonore batoste. Nel momento in cui Arafat, un leader arabo laico e marxista, si piegava alle leggi della storia, lui e la sua organizzazione cadevano di colpo in disgrazia, perché uno Stato palestinese, se deve essere, non tratta con i giudei, li schiaccia. La dimensione religiosa del conflitto arabo israeliano sfugge completamente ancora a noi occidentali, nonostante che quando Sharon si permise una semplice passeggiata sulla spianata delle moschee, scoppiò un’intifada. Noi europei siamo il continente della Riforma e dell’abate savoiardo di Rousseau, il prete che non avendo più la fede adempiva al suo rito con maggior passione formale. L’Islam non conosce questi processi politico intellettuali compiuti in occidente e quando li conosce, li rifiuta. La fede e l’identità sono una cosa sola, e l’Islam, l’insieme dei fedeli, non sarà mai una qualsiasi nazione araba. Il nazionalismo arabo ha avuto vita breve. Comparso nel 1904 ad opera di un cristiano maronita non ha mai attecchito oltre ad una ristretta cerchia intellettuale e ha retto fino a quando il modello statuale imposto da Francia e Gran Bretagna all’indomani del crollo dell’impero ottomano, non è stato messo in crisi. Al Qaeda ed il suo leader, Bin Laden, sono stati il segno che il tempo del nazionalismo si era esaurito e che le masse arabe dovevano risvegliarsi. Allora a che serve uno stato nazionale siriano, o iracheno, o palestinese, quando l’intera nazione araba può rivolgere le sue speranze nel califfato? E’ quello che ci si chiede a Gaza, come a Musul, o a Bengasi, dal Mediterraneo, al mare di Oman. Come poi si voglia fronteggiare questo fenomeno, quando c'è chi crede negli islamici moderati o ritiene inaccettabile l’espansione di qualche alloggio di Israele a Gerusalemme est, non lo sappiamo. Sappiamo solo che dopo l’esultanza a Gaza la proposta dei due Stati non è una soluzione.

Roma, 21 novembre 2014